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[Libri] Costretti a sanguinare

18 Marzo 2009


Premetto subito che il libro mi è piaciuto molto. Un romanzo che parla dei punk e di moltissimi aspetti legati a questo mondo di cui onestamente ignoravo il legame. Do It Yourself, antimilitarismo, politica, movimenti extraparlamentari, gli anarchici del Ponte della Ghisolfa, comunicazione indipendente, femminismo. E poi accenni a Primo Moroni e alla Calusca.

Leggere un libro sull’underground milanese in un periodo così importante per questa città che nel suo desolante contesto asettico e di triste grigiore ha visto la riconquista del Cox 18 e si sta organizzando per ospitare (forse) l’edizione annuale di hackmeeting mi fa immergere in un’empatia che mi spinge a ricercare in rete tutto il materiale possibile sul Virus, sulle varie librerie, sullo stesso Philopat e Gomma, sugli Hcn e la scena punk italiana. E mi fa pure sperare che questi spiragli di luce siano il segnale di un passato non ancora assopito e che lentamente si sta riaffacciando sulla scena metropolitana.

Il titolo del libro, Costretti a sanguinare, è stato ripreso da una canzone dei Germs, gruppo punk statunitense della fine degli anni 80.
Molto particolare è lo stile con il quale Philopat comunica. Il romanzo è scritto con uno stile narrativo, senza punti né virgole, che lo rende frenetico, graffiante e soprattutto diretto. Un racconto vero che ti prende e che prende in considerazione aspetti controversi ma secondo me molto importanti come ad esempio la relazione con le droghe che se per alcuni rappresentano un mezzo, per altri sempre più finiscono per diventare il fine unico.
Legato a questo aspetto interessantissime sono le considerazioni sul concetto del "No Future" e della sua evoluzione nel corso degli anni. "Il No Future così come lo avevamo inteso fino ad allora non significava più un punto di arrivo ma un punto di partenza, non una negazione delle possibilità ma un "viviamo il presente" nella sua forma più decisa o, meglio ancora, come un rifiuto del futuro borghese e il tentativo di crearci un futuro "nostro", che concretizzasse, rendesse stabile e ampliasse quell’alterità radicale di cui si era tanto sognato. […] allora non avevamo capito, ma l’investimento dei desideri all’interno della nostra pratica politica quotidiana inconsciamente già la praticavamo. Credo sia questo il motivo per cui due o trecento soggetti radicali in tutta la città sono stati in grado di lanciare delle pratiche e dei messaggi che ancora oggi vengono condivisi da migliaia di persone".

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