[libri & sfoghi] Il derby del bambino morto e altro
È un periodo abbastanza intenso e purtroppo non riesco a ritagliarmi molto spazio da dedicare alla lettura. In queste settimane comunque ho letto Confine di stato di Michele Sarasso che ho scovato leggendo la recensione di blicero e The dark side of Google di Ippolita.
Sul comodino ora ho Stella del mattino di Wu Ming 4 e sono alla ricerca di Milano A. Brandelli che purtroppo qui in svizzera non riesco a trovare.
Ieri mentre stavo scrivendo un breve articolo per euro08.noblogs.org mi è capitato di riprendere tra le mani Il derby del bambino morto di Valerio Marchi. La rilettura di alcune pagine di questo bellissimo libro mi hanno confortato. Qui in Svizzera fra poco inizieranno gli europei di calcio ed è veramente desolante vedere come la massa critica rispetto a questo evento sia estremamente esigua. L’avvento degli europei poteva essere il pretesto per approfondire le diverse tematiche legate all’ambito dello sport e tutto quello che ci gira attorno. Invece no, sugli organi di informazione le questioni di fondo vengono tralasciate per dare risalto agli aspetti folkloristici e di costume (non me ne frega un cazzo di cosa mangiano i giocatori svizzeri prima degli allenamenti!).
Rileggere alcune pagine de Il derby del bambino morto mi ha rinfrancato. In questo marasma generale non sono solo e chi ha perso il lume della ragione non siamo certo noi!
Qui di seguito riporto una piccola recensione del libro di Valerio Marchi che avevo scritto un paio di anni fa per la fanzine della Curva Sud di Ambrì (lugano merda!!!)
Valerio Marchi, Il derby del bambino morto. Violenza ed ordine pubblico nel calcio
Il derby Roma- Lazio, la
partita che un’intera città aspetta. Un incontro che per i tifosi
è l’equivalente di una finale, di un’andata – ritorno che può
valere un intero campionato. Il derby che strappa
l’anima alla
città e la strizza per un lungo istante.
Il pre-derby , come da
consuetudine, porta con sé una quota endemica di
incidenti tra le
opposte tifoserie e le forze dell’ordine. Ma il 21
marzo 2004,
nelle vicinanze e nell’antistadio dell’Olimipico accade
qualcosa di inimmaginabile che riporta subito alla mente dei
presenti
quello che successe a Genova nel 2001 in occasione del G8.
Chi c’era
racconta di una furia di violenza da parte della polizia
difficile da
comprendere: cariche indiscriminate, caroselli delle
camionette tra la
folla, pestaggi violentissimi subiti da ultras e
da semplici tifosi che
si stavano tranquillamente recando allo
stadio. Poi, in una curva sud
avvolta dal fumo dei lacrimogeni ed
impegnata a respingere le forze
dell’ordine che tentavano di
entrare nel cuore del tifo giallorosso, una
voce incontrollata
inizia a diffondersi sugli spalti: “ La polizia ha
ucciso un
bambino!”. La notizia, per fortuna risulterà falsa, ma il
clima
di tensione e di panico creato dai violentissimi pestaggi da parte
delle forze dell’ordine, la renderà più che verosimile tra i
tifosi
presenti all’Olimpico. Talmente attendibile, che neppure le
smentite
ufficiali del questore e del prefetto di Roma riusciranno a
convincere
uno stadio, che al grido di assassini assassini, imporrà
la decisione di
sospendere la partita.
Valerio Marchi, studioso
delle forme di conflitto giovanile, a partire
dalla leggenda del
“bambino morto” ricostituisce il rapporto tra ultras,
forze
dell’ordine e mass media. Il cuore del ragionamento di Marchi è
che i tifosi producono una cultura incomprensibile per le
istituzioni.
Attorno a questo soggetto, il tifoso, le forze
dell’ordine, senza
nessuna conoscenza di questo fenomeno sociale,
hanno costruito
l’immagine di persone che agiscono per mezzo di
impulsi indecifrabili.
Pure in questo caso il
sistema massmediale svolge una funzione di
retroguardia: primo a
denunciare la devianza e ultimo a recepirne le
ragioni. Il tifoso è
quindi per definizione etichettato come
imprevedibile, eversivo,
selvaggio. È il folk devil da additare nei
titoli di giornale. È
il ribelle selvaggio da far passare per i “tornelli”.
Mentre tra altre culture
antagoniste e forze dell’ordine, a furia di
scontri di piazza è
nata una dialettica, seppur conflittuale; con gli
ultras, secondo le
istituzioni, non esiste un background motivazionale
per le azioni
che compiono. È proprio perché di fronte all’opinione
pubblica
non è difficile giustificare gli abusi contro questo soggetto
che
le curve degli stadi diventano palestre di repressione. Non è
infatti un caso che i micidiali lacrimogeni al gas CS utilizzato per
sedare gli scontri di piazza, siano ormai da anni normalmente
utilizzati
per disperdere i tifosi negli antistadi.
Nel suo saggio Marchi
descrive molto bene questa conflittualità tra
ultras e forze
dell’ordine, denunciando a quest’ultime una pessima
conoscenza
del fenomeno ultras come sottocultura giovanile e come tale
con i
suoi modi di esprimersi, i suoi riti e le sue leggi non scritte.
Questa non conoscenza, sempre secondo Marchi, è alla base di leggi
dello
stato e di modalità d’intervento (come ad esempio l’uso
di lacrimogeni
in luoghi dove non si hanno vie di fuga) che creano
situazioni altamente
pericolose, deve l’incolumità dei tifosi
viene messa in pericolo proprio da quelle persone che
l’ordine dovrebbero mantenerlo.
Il volume è scritto
miscelando la passione dell’ultras con il metodo del
ricercatore
sociale. È un libro, questo, utile per sfuggire alle logiche
perverse dei facili moralismi, che puntualmente coinvolgono
opinionisti
e giornalisti durante i dibattiti su questo tema.
Valerio Marchi, Il derby del
bambino morto, DeriveApprodi, 2005